Come ogni 8 marzo passeremo la giornata a fare scroll di articoli sul divario di genere, il gender gap, il valore del gender diversity. Da questa lista di articoli non escludo il mio.
Oggi daremo un po’ più di attenzione all’argomento, come facciamo ogni anno – donne comprese-, e mostreremo le solite cifre. Il problema è proprio questo, che sono sempre le solite cifre o con variazioni minime o discutibili.
Se avete percepito un tono di voce risentito e arrabbiato, avete intuito bene.
Per questo, oggi prendo ispirazione dal mio lavoro di tesi per riflettere sull’argomento e su quanto è stato effettivamente fatto per migliorare la vita delle donne in questo paese. Perdonatemi, i dati che leggerete sono quelli del 2021.
Iniziando dal Global Gender Gap Report 2021, l’Italia si classifica al 63° posto con un miglioramento generale di 13 punti rispetto al 2020. Ma secondo il report la parità di genere nel nostro paese è stata raggiunta solo al 72,10% contro il valore del resto dell’Europa Occidentale del 77,6%. Inoltre, (aggiungerei: casualmente) gli indici in cui performiamo peggio sono la partecipazione economica e opportunità con il 60,9% e partecipazione politica con il 31,3%.
La condizione delle donne italiane peggiora notevolmente andando verso Sud, infatti, secondo il Rapporto dello SVIMEZ 2020 le giovani donne del Sud Italia sono le cittadine europee più svantaggiate d’Europa in termini di diritti e condizioni occupazionali. Nel 2021 lo SVIMEZ ha registrato un tasso di occupazione femminile pari al 35,1% per il Mezzogiorno contro il 62,0% del Centro-Nord. (Ma tutto questo non mi sorprende, la mia analisi è molto chiara. All’Italia importa ben poco delle donne, importa ancora meno del Sud, per cui unendo le cose: non gli importa niente delle donne del Sud).
Nonostante ciò, pare che le donne italiane, soprattutto quelle del Sud, abbiano capito che debbano cavarsela da sole. L’imprenditoria femminile, escludendo il margine negativo dovuto al Covid-19, è un capitale che viaggia lungo tutta la penisola e che vede sempre più donne del Mezzogiorno fare impresa al Centro-Nord. Tuttavia, si presenta come una realtà molto attiva anche in molte regioni del Sud Italia come Molise, Basilicata e Abruzzo. Seppur più sfavorita al Sud in molti settori, questa è prevalente nel Meridione in rapporto alle imprese maschili. (Unioncamere)
Come dice il proverbio: “Aiutati, che Dio ti aiuta”.
Se volessimo ricercare le ragioni di questi dati nei pregiudizi, ci accorgeremmo che questi – al contrario, di quanto si possa pensare – non fanno distinzione di genere né territoriale. Questo significa che in un campione, preso a caso tra i 18-74 anni di uomini e donne in tutta Italia, troverai delle donne che tollererebbero la violenza sulle donne. In altri casi, non importa il territorio, dato che le donne lucane accetterebbero la cosa meno delle donne lombarde, venete o emiliane. (Istat)
Potrei continuare ad elencare i dati. Ma voglio arrivare al punto della questione.
Ma il gender gap, che si traduce nel gender pay gap a chi conviene? A nessuno!
Nemmeno al datore di lavoro che licenzia la sua dipendente in dolce attesa o che paga le sue stagiste meno dei suoi stagisti.
Vi riporto un ragionamento semplice, ma esaustivo – che altro non è che l’introduzione della mia tesi.
Partendo dal gender pay gap e seguendo i principi base dell’economia reale, sappiamo che maggiore è il reddito pro-capite dei cittadini, maggiore sarà il potere d’acquisto, maggiormente saranno incentivati i consumi. Incentivare i consumi, favorisce un benessere economico per tutti i cittadini, uomini e donne di qualsiasi età. Nel momento in cui un’azienda paga una donna meno di un uomo ne limita il suo potere d’acquisto, di conseguenza limita i suoi consumi, che nel complesso della popolazione si riflettono sul benessere economico complessivo.
Se ancora il ragionamento non è stato convincente, basta mettersi nei panni dell’azienda di prodotti di consumo che quella donna, pagata meno dell’uomo, vorrebbe acquistare. Se ci fossero migliaia e migliaia di donne che vorrebbero acquistare quei prodotti, soprattutto quelli durevoli, e potessero; le performance di vendita della nostra Azienda, che chiamiamo Beta, migliorerebbero sensibilmente. Dunque, diventa lecito chiedersi quanto fatturato l’azienda Beta stia perdendo? Secondo, e se l’azienda Beta fosse quella che in questo momento sta pagando meno le sue dipendenti e le sue manager rispetto ai colleghi uomini? Nel caso in cui lo fosse, sta solo incentivando un meccanismo a danno non solo dell’azienda stessa, ma a danno di tutti i suoi dipendenti: uomini e donne, stagisti e dirigenti, impiegati e cittadini.
Adesso è più chiaro che è una questione personale di tutti?
Cristiana Tommasi
Dottoressa Magistrale in Marketing e Comunicazione d’Impresa
Freelance e Aspirante Imprenditrice